Il principio della tempestività della contestazione non ha mai conosciuto, al netto di piccole sfumature, sostanziali smentite da parte della giurisprudenza.
Il datore di lavoro deve portare «a conoscenza del lavoratore i fatti contestati non appena essi appaiano ragionevolmente sussistenti» (ex multis Cass. n. 3532 del 13.2.2013).
In alcuni casi, il principio in argomento è stato desunto in via interpretativa dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 1970), incidendo la tardività sull’effettività del diritto di difesa del lavoratore, in altri casi dai principi generali civilistici di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro.
Tutela reale e tutela indennitaria. Natura formale o sostanziale del vizio
Storicamente, in un sistema imperniato sulla reintegrazione, a fronte di un licenziamento affetto da vizi anche meramente procedurali, come la tardività della contestazione degli addebiti, la tutela riconosciuta dalla legge al lavoratore era la tutela reale.
Oggi, a seguito delle modifiche apportate all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori dalla L. 92 del 2012 (Riforma Fornero) e dell’entrata in vigore del d. lgs. 23 del 2015 attuativo della L. n. 183 del 2014 sul contratto a tutele crescenti, c.d. Jobs Act, gli effetti dell’accertamento della tardività della contestazione sono nettamente mutati.
Il legislatore a fronte di un licenziamento viziato ha espressamente previsto come regola generale la tutela di tipo indennitario, mentre la tutela reale resta solo una delle possibili conseguenze e opera in ipotesi tassativamente indicate dalla legge.
Pertanto, a fronte di un vizio procedurale, quale quello della tardività della contestazione, il giudice dichiara risolto il contratto dal giorno del recesso e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria.
Dunque, alla luce delle riforme normative sui licenziamenti, assume rilevanza la qualificazione di natura formale o sostanziale del vizio del licenziamento intervenuto in forza di contestazione tardiva.
Il caso
Con la sentenza n. 2513 del 2017 la Suprema Corte di Cassazione, a seguito delle radicali modifiche della disciplina, ha preso posizione sul tema della tardività della contestazione, precisando che la non immediatezza della contestazione è vizio procedimentale che impedisce in radice l’accertamento giudiziale, ma prima ancora vizio sostanziale perché la valutazione dell’insussistenza del fatto – inteso come inadempimento non irrilevante – è contenuta nel comportamento di inerzia del datore di lavoro, cui l’ordinamento impone il dovere di reagire.
Nel caso deciso dalla Corte, una lavoratrice, dipendente di Poste Italiane s.p.a., ottenuta la sentenza di declaratoria di illegittimità del termine contrattuale con conseguente ordine di riassunzione, offriva la propria disponibilità a riprendere l’attività lavorativa nella sede in cui era precedentemente occupata.
Poste italiane, in ragione di asserita mancanza di posti disponibili, la invitava a prendere servizio in una diversa sede sita in Calabria. La lavoratrice non vi si recava e il datore di lavoro, quindici mesi più tardi, le contestava assenza arbitraria per oltre sessanta giorni, come previsto dal CCNL applicabile.
Investita del caso, la Suprema Corte ha qualificato, nella specie, la tardività della contestazione come una violazione formale o procedurale a carattere radicale e ha osservato che «non essendo stato contestato idoneamente ex art. 7 il “fatto” è “tamquam non esset” e quindi “insussistente” ai sensi dell’art. 18 novellato. Sul piano letterale la norma parla di insussistenza del “fatto contestato” (quindi contestato regolarmente) e quindi, a maggior ragione, non può che riguardare anche l’ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell’art. 7».
Il contrasto giurisprudenziale e la rimessione alle Sezioni Unite
Con ordinanza n. 10159 del 21.4.2017 la Suprema Corte, chiamata a decidere su un analogo caso in cui la contestazione è intervenuta a distanza di due anni dall’accadimento dei fatti contestati, ha ritenuto che « tuttavia dopo l’entrata in vigore della riforma legislativa dell’art. 18 legge n. 300/70 per opera della legge 92/2012 la questione della tardività merita ad avviso di questo Collegio un’attenta valutazione discretiva, attesa la diversità delle conseguenze sanzionatorie specificamente stabilite in riferimento alle fattispecie distintamente regolate, al contrario della disciplina anteriore di esclusiva previsione della tutela reintegratoria per ogni ipotesi di illegittimità, indifferentemente di natura sostanziale, piuttosto che formale».
La Corte ha ritenuto che «tenuto conto della distinzione, radicata su una corretta lettura del dato normativo, tra illegittimità del licenziamento disciplinare per “insussistenza del fatto contestato”, comportante una tutela reintegratoria (art. 18, c. 4°) e illegittimità del licenziamento per “altre ipotesi”, comportante una tutela indennitaria (art. 18, c. 5°), deve valutarsi se possa essere data continuità al recente orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 2513 del 2017 che equiparando un fatto contestato con notevole ritardo, superiore all’anno, ad uno insussistente, siccome inidoneo ad essere verificato in giudizio, fa rientrare anche tale fattispecie nella prima ipotesi, dovendosi ricordare tuttavia che questa Corte si è già espressa diversamente, ritenendo che comporti una tutela indennitaria (art. 18, co. 5°) “la violazione del requisito della tempestività, che viene considerato elemento costitutivo del diritto di recesso, a differenza del requisito di immediatezza della contestazione, che rientra tra le regole procedurali” (Cass. 6 novembre 2014, n. 23669)».
Evidenziato il contrasto dei due orientamenti giurisprudenziali il Collegio ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite in quanto la questione «può essere qualificata “di massima di particolare importanza” […]. La pronuncia infatti è destinata ad incidere su altre controversie già pendenti o che verosimilmente potrebbero essere instaurate nell’immediato futuro, in ordine alle quali è auspicabile si prevenga il formarsi di una molteplicità di orientamenti giurisprudenziali contrastanti».
Conclusioni
In attesa della presa di posizione delle Sezioni Unite, la scrivente ritiene che la sentenza n. 2513 del 2017 debba essere valutata positivamente perché costituisce un momento di riflessione sull’esercizio dei poteri datoriali nel settore disciplinare, in cui viene in rilievo la dignità del lavoratore.
Fondamentale in questo ambito raggiungere la certezza del diritto, considerati i valori costituzionali in gioco.
Avv. Luciana Grieco