Meta: pagare per non essere profilati. E’ lecito?

Il 30 ottobre 2023 Meta ha confermato che offrirà le proprie piattaforme (Facebook, Instagram) senza pubblicità, mirata o generalista, dietro pagamento di una quota d’abbonamento.

Si pagherà cioè per non essere fatti oggetto di profilazione (questo è il termine tecnico, cfr. art. 4.4 GDPR) e di marketing “targhetizzato”, ossia costruito sulla misura di quella profilazione.

Che cos’è la pubblicità mirata? Facciamo un esempio. Sono in difficoltà e cerco un prestito? La piattaforma raccoglie questa informazione e mi invia pubblicità specifica su mutui e prestiti. Sono stato profilato come qualcuno che ha bisogno di denaro.

Oppure semplicemente ho guardato un contenuto generalista di scarsa qualità? Gli algoritmi della piattaforma mi inondano di canali spazzatura.

E chi non paga il nuovo servizio “premium” proposto da Meta? Continuerà a essere profilato. Ossia: pagherà non in denaro ma in diritti, dunque in cessione di spazi di riservatezza.

L’utente in tal caso continuerà cioè a essere il “prodotto” venduto a terzi dal fornitore delle piattaforme social.

Se non altro, l’annuncio della multinazionale statunitense serve a suggerire al grande pubblico un’idea del valore economico dei nostri dati, del giro d’affari che permette, della realtà delle cose: l’utente è una merce.

In questo contesto, continua a colpirmi che i fruitori del servizio inondino le piattaforme social dei dettagli più intimi della propria vita e persino di quella di minori.

Ma la normativa che cosa prevede?

Ora, dobbiamo chiederci se il modello di business costruito da Meta sia lecito. Se, in altre parole, sia consentito chiedere un pagamento contro l’impegno di non profilare per finalità di marketing.

Innanzitutto, dobbiamo domandarci: lecito o illecito rispetto a quale disciplina giuridica? Rispetto innanzitutto al GDPR (reg. UE 2016/679) e alla dir. e-Privacy (dir. 2002/58), che si dimostrano ancora una volta fondamentali presìdi di tutela.

Bene, non può che fornirsi risposta negativa, ossia: no, non è lecito, almeno a parere di chi scrive.

Osta infatti a una profilazione by default sia la mancanza di un’idonea base giuridica sia la regola della data protection by default, ossia la sussistenza di un principio esattamente opposto alla profilazione per impostazione predefinita.

Eppure la decisione di Meta è presa. E’ del tutto naturale collegarla al “modello paywall”, che, in assenza di provvedimenti del Garante, si è affermato di fatto nell’editoria italiana.

La logica infatti è la stessa: si è profilati senza scelta nel servizio base, per non esserlo occorre scegliere un’opzione premium a pagamento.

Per un’analisi giuridica più dettagliata e per il collegamento logico con il modello paywall, rimando il lettore al mio articolo di approfondimento pubblicato oggi da Agenda Digitale: Facebook e Instagram a pagamento: ma la privacy non può essere un servizio premium.

Conclusioni

In definitiva, lo schema di Meta e il modello paywall costituiscono la normalizzazione di un completo rovesciamento del sistema giuridico: pagare per vedersi riconosciuti diritti che già hanno.

E’ una situazione resa evidentemente possibile da rapporti di forza e mancate reazioni. Lo scenario che si palesa è decisamente distopico, anche perché l’estrema frammentazione della platea degli interessati (in definitiva qui gli utenti finali) non pone certo le condizioni perché l’intera materia sia portata all’attenzione del giudice ordinario.