Protezione dei dati personali: torna l’interpello preventivo?

Il 9 maggio 2019 è entrato in vigore il nuovo – atteso – regolamento n. 1/2019 del Garante per la protezione dei dati personali sulle procedure interne a rilevanza esterna, dunque innanzitutto su quella di reclamo. Contestualmente, è entrato in vigore anche il gemello regolamento n. 2/2019.

Restiamo tuttavia sul primo. La disciplina, di notevole interesse per il pratico, presenta profili di continuità ma anche elementi di novità rispetto al precedente regolamento n. 1/2007. In particolare, vogliamo qui concentrarci sull’istituto noto in passato come “interpello preventivo”. Ricordiamo che l’interpello preventivo andava esperito, nella regolarità dei casi, prima di procedere con ricorso al Garante, pena l’inammissibilità dello stesso.

Ebbene, il punto interessante è il seguente: il nuovo regolamento n. 1/2019 ha reintrodotto oppure no l’interpello preventivo che era stato eliminato dalla normazione primaria? Come deve regolarsi oggi l’interessato che richieda tutela amministrativa?

Prima di entrare nel vivo della questione, facciamo un rapido cenno al contesto, per fornire una cornice al ragionamento.

Background

Il seguito all’applicazione del GDPR (dal 25 maggio 2018) e in particolare in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. 101/2018 (dal 19 settembre 2019) è stato abrogato lo strumento di tutela del ricorso al Garante, restringendo oggi le possibilità dell’interessato in via amministrativa soltanto a due: reclamo o segnalazione.

In realtà, la segnalazione è stata rimodulata e il reclamo ha assorbito la casistica in precedenza gestita attraverso ricorso. In sostanza, nei casi in cui in passato si sarebbe proceduto con ricorso oggi si procede con reclamo.

Una pista accelerata per l’esercizio dei diritti

Il ricorso al Garante era una procedura decisamente più celere di quella del reclamo. Le ragioni erano evidenti: a differenza del reclamo, l’obiettivo del ricorso era quello di rimuovere ostacoli all’esercizio di diritti, si pensi ad esempio alla negazione all’interessato dell’esercizio del diritto di accesso ai dati personali o, per fare un altro esempio, del diritto all’oblio. L’ostacolo andava rimosso, per questo esisteva una procedura con tempistiche più stringenti di quella del reclamo.

Oggi la durata di un reclamo va dai nove ai dodici mesi, prolungabile quando ricorrono varie ipotesi di sospensione della procedura. Si tratta di un arco temporale oggettivamente esteso.

Proprio per questa ragione, il legislatore con il nuovo art. 142.5 Codice privacy ha disposto che il Garante, fra l’altro, disciplini “con proprio regolamento […] modalità semplificate e termini abbreviati per la trattazione di reclami che abbiano ad oggetto la violazione degli articoli da 15 a 22” GDPR del Regolamento”.

Gli articoli dal 15 al 22 sono esattamente quelli che riconoscono i diritti dell’interessato (es., il 15 riconosce il diritto di accesso ai dati personali). Per la verità, diritti dell’interessato si trovano anche in altre disposizioni (perché mai trascurarle?), per il momento tuttavia fermiamoci a queste considerazioni.

In definitiva, il legislatore all’art. 142.5 Cod. priv. ha indicato al Garante di ripristinare quella corsia preferenziale che un tempo era riservata ai ricorsi: chi deve rimuovere un ostacolo a un proprio diritto deve fruire di “termini abbreviati”. Di qui l’introduzione nel nuovo reg. Garante n. 1/2019 dell’articolo 15, dedicato proprio alla casistica in esame.

Tuttavia, i tempi sono stati veramente abbreviati? Lo vedremo tra poco, intanto spieghiamo meglio l’altro “pezzo” della questione: che cos’era esattamente l’interpello preventivo?

Che cos’era l’interpello preventivo?

In passato, era previsto che l’interessato prima di richiedere tutela al Garante in merito all’esercizio negato di un proprio diritto ne facesse domanda al titolare del trattamento e, solo decorsi inutilmente 15 giorni, potesse rivolgersi all’Autorità amministrativa. Questo era un passaggio importante: in mancanza di interpello preventivo (salvi casi eccezionali e urgenti), il ricorso sarebbe stato dichiarato inammissibile. E in effetti numerosi ricorsi al Garante si sono infranti su questa tecnicalità giuridica.

Abrogato l’istituto del ricorso, è stato abrogato anche l’interpello preventivo, sennonché il nuovo art. 15 reg. Garante n. 1/2019 sembra avere reintrodotto un procedura all’apparenza simile. Approfondiamola.

Il nuovo “interpello preventivo”

 

Chiarisce il primo comma del nuovo articolo 15 che l’interessato ha l’onere, esattamente come in passato, di rivolgere la propria istanza al titolare e attendere per il riscontro il termine massimo (oggi) di un mese, salva possibilità di prolungamento del termine nelle ipotesi consentite.

Come in passato, se l’interessato omette questo passaggio preliminare, a parte casi di “specifiche e fondate ragioni”, il Garante, anziché procedere all’istruzione del reclamo, invita l’istante a rivolgersi appunto direttamente al titolare del trattamento, ossia – potremmo dire in termini tradizionali – lo invita ad esperire “interpello preventivo”.

In sostanza, senza interpello del titolare è precluso l’accesso alla tutela in via amministrativa.

Non è del tutto chiaro tuttavia che cosa accada dopo l’interpello tardivo sollecitato dal Garante: se cioè il procedimento prosegua secondo i termini indicati al primo comma dell’art. 15 in commento o se si estingua. Verosimile la prima soluzione, anche perché l’estinzione o, addirittura, l’eventuale inammissibilità di un successivo nuovo reclamo andrebbero chiaramente previste dal punto di vista normativo.

E le esigenze di celerità?

 

Ricordate che l’art. 142.5 Cod. priv. indica al Garante di specificare termini abbreviati nelle procedure di reclamo per esercizio dei diritti dal 15 al 22 GDPR? Nel nuovo art. 15 reg. Garante n. 1/2019 non troviamo però indicazione di termini abbreviati. Quello che troviamo è solo la trasmissione del reclamo entro 45 giorni dal Garante al titolare del trattamento affinché questi eserciti eventualmente, entro 20 giorni, adesione spontanea al reclamo.

Tuttavia, a parte questo non si ravvisa propriamente nessuna accelerazione dei tempi. In altre parole: se il titolare non aderisce spontaneamente non sono previste soluzioni abbreviate.

Che conseguenze ha l’adesione spontanea?

L’adesione spontanea chiude la procedura. La logica sottostante è infatti che, se l’interessato chiede l’esercizio di un diritto e il titolare aderisce spontaneamente a quella richiesta, viene meno la materia del contendere.

Attenzione però, la richiesta dell’interessato deve riguardare “esclusivamente” l’esercizio dei diritti dal 15 al 22 GPDR, non altri profili, che resterebbero sussistenti anche in caso di adesione spontanea.

Ha convenienza il titolare del trattamento negare l’esercizio di diritti dell’interessato e ad attendere passivamente la richiesta di adesione spontanea sollecitata dal Garante? Certamente no. A parte eventuali conseguenze risarcitorie civilistiche, va ricordato che la mancata osservanza del riscontro all’interessato nei tempi prescritti dal GDPR è astrattamente sanzionabile ai sensi dell’art. 83.5 GDPR. Il Regolamento europeo pone infatti enfasi particolare sul rispetto di esigenze di accountability, esigenze che sono evidenti nell’ottemperare in modo tempestivo e completo al riscontro all’interessato.

In conclusione

 

La reintroduzione di un espresso obbligo di richiesta preliminare di esercizio dei diritti al titolare del trattamento trova molti elementi di continuità con l’abrogato interpello preventivo, ma non una perfetta sovrapposizione. Va notato che la reintroduzione di un onere di questo genere in capo all’interessato appare coerente con esigenze deflattive dei procedimenti amministrativi. Risponde cioè a criteri di efficienza dell’azione amministrativa e del resto appare coerente anche con più profonde considerazioni in chiave sistematica: in definitiva, il primo interlocutore dell’interessato nell’esercizio dei diritti è infatti il titolare del trattamento e, solo in difetto di riscontro o nel caso di riscontro non tempestivo o incompleto, l’interessato ha diritto di rivolgersi all’Autorità di controllo.

Occorrerà monitorare l’applicazione che avrà la nuova disciplina introdotta dall’odierno art. 15 reg. Garante n. 1/2019, anche in considerazione del fatto che non tutti gli sviluppi possibili della procedura appaiono chiaramente definiti. Bisognerà inoltre porre adeguata attenzione alla formulazione delle richieste di tutela in via amministrativa, che potrebbero rientrare non interamente nell’orbita dell’art. 15 in commento.

Sia permesso un rammarico finale sulla formulazione dell’art. 15 per non essere stata completamente soddisfatta, ad opinione di chi scrive, la richiesta di celerità nei termini, benché indicata espressamente dal legislatore.