Privacy e trasparenza: la Corte di Giustizia UE ne definisce il bilanciamento e i rispettivi confini, con la storica decisione cause riunite WM e Sovim, C‑37/20 e C‑601/20 del 22 novembre 2022.
In estrema sintesi, il Giudice europeo ha considerato in contrasto con il diritto dell’Unione l’accesso del grande pubblico a un registro dei titolari effettivi di società e altri enti giuridici, introdotto dalla quinta direttiva AML.
Non ha infatti ravvisato in questo accesso di massa alcuna finalità strettamente necessaria all’obiettivo di contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo.
L’elemento di pregio sta propriamente nella ragionata costruzione che permette di pervenire a tale approdo. Perché dunque la sentenza è un landmark case? Almeno per le seguenti ragioni:
- è una decisione scomoda, che abbatte (ancora una volta) una normativa di impatto emotivo marcato, fortemente voluta dagli attori politici;
- si discosta, in passaggi decisivi, dall’opinione dell’avvocato generale;
- ha evidente valore sistematico, offrendo l’occasione per precisazioni di ampio respiro sul metodo da seguire nella ponderazione di istituti fondamentali, costruendo a partire da precedenti noti e meno noti;
- scioglie una malintesa nozione di trasparenza, ridefinendone il concetto. La trasparenza, evidenzia la Corte, è rimozione di ostacoli conoscitivi dei privati verso il settore pubblico e non dei privati verso i privati. Né può risolversi in un’arbitraria compressione della sfera personale da parte del potere pubblico.
I tre passaggi per il bilanciamento tra diritti fondamentali
In estrema sintesi, sono tre i passaggi da seguire in un bilanciamento:
- coerenza tra una determinata attività e l’obiettivo dichiarato;
- compressione di diritti antagonisti solo per ragioni di stretta necessità;
- proporzione: anche ove siano soddisfatti i due criteri precedenti, i vantaggi ottenuti dalla limitazione di un diritto devono essere superiori al pregiudizio.
Resta poi da tenere sempre presente il termine di escursione massima nella limitazione dei diritti, segnato dall’art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ossia quello del rispetto del “contenuto essenziale” del diritto che subisce limitazione.
Concentriamoci sul primo criterio: il principio di coerenza impone al legislatore una continenza inedita nel legiferare e costruisce, in particolare, un argine a derive di forte impatto propagandistico, ma disancorate dagli obiettivi ultimi. In ambito di protezione dei dati personali, lo stesso concetto è noto come principio di limitazione di finalità, riconosciuto dall’art. 5.1.b) GDPR.
Ugualmente decisivo è il criterio dello stretto necessario. Ciò che è solo utile non è strettamente necessario. Una trasparenza generalizzata, osserva la Corte, potrebbe anche avere una qualche utilità, ma non per questo essere strettamente necessaria. Tra più soluzioni, occorre scegliere quella a minore impatto possibile, non quella genericamente giovevole. E’ una riedizione, se si vuole, del metodo del rasoio di Occam.
Quanta normativa nazionale, in primis i trattamenti di dati personali in epoca Covid, sarebbero travolti dalla semplice applicazione dei due criteri appena enunciati?
Anche il terzo risulta fondamentale, perché applica un principio di ponderazione del beneficio, imponendo implicitamente al legislatore una valutazione d’impatto.
Sia permesso rimandare per maggiori e più ampie considerazioni all’articolo di commento scritto per Agenda Digitale: Trasparenza o privacy? La sentenza WM e Sovim è una vera svolta: ecco perché.