Applicazioni di tracciamento anti-Covid19 e data protection

Dal mese di marzo 2020, si è aperto anche in Italia un acceso dibattito sull’architettura, sulle garanzie e sui requisiti che le app di tracciamento dei contagi devono soddisfare.

Il nostro studio legale ha partecipato attivamente all’individuazione dei profili giuridici. Ci piace fornirne una sintesi, ritenendola di interesse.

La lettera aperta del 25 marzo

Il 25 marzo scorso, in particolare, abbiamo indirizzato a vari soggetti istituzionali una lettera aperta, scritta assieme al collega Andrea Lisi, alla quale hanno aderito primari colleghi ed esperti della materia.

In quell’occasione abbiamo evidenziato come fosse necessario distinguere tra una finalità di ricostruzione dei contatti (contact-tracing) e una finalità repressiva di sorveglianza della quarantena.

Abbiamo anche evidenziato che il raggiungimento degli obiettivi di ricostruzione dei contatti dipendono dalla disponibilità immediata di tamponi. Dunque l’analisi privacy non può essere disgiunta dal programma di diagnosi, e quest’ultimo dovrebbe entrare nella valutazione d’impatto (DPIA).

Si rimanda, per maggiori approfondimenti, al testo della lettera (qui il pdf dal sito di Anorc).

Il Garante per la protezione dei dati personali, gentilmente rispondendoci nella persona del presidente Soro, ha sostanzialmente confermato la correttezza di entrambi questi punti fondamentali, pur non giungendo a pronunciarsi espressamente in merito alla DPIA.

Dieci domande (senza risposta) al Ministro

Il 17 aprile 2020, abbiamo rivolto pubblicamente dieci domande al Ministro per l’innovazione digitale, a firma congiunta dell’avv. Pelino e del collega Fulvio Sanzana di Sant’Ippolito (con un contributo di Roberto Scano).

La richiesta è stata gentilmente ospitata da una testata di primo piano, Agenda Digitale, ed è leggibile qui.

Tra le richieste, figura quella di avere informazioni sulla DPIA, sulla pseudonimizzazione, sulle categorie di dati personali trattati, sulla loro circolazione, sull’interazione con la piattaforma progettata da Google ed Apple.

Sono domande essenziali, che, sfortunatamente, attendono ancora una risposta istituzionale. La valutazione d’impatto, per esempio, deve ritenersi obbligatoria, dal momento che ricorrono ben cinque delle condizioni esaminate nelle linee guida europee dell’EDPB/WP29. Ne sarebbero sufficienti due.

È appena il caso di notare che la DPIA dovrebbe precedere la progettazione e certamente l’implementazione di un’applicazione di tracciamento. Le linee guida richiamate indicano espressamente: “La valutazione d’impatto sulla protezione dei dati va avviata il prima possibile nella fase di progettazione del trattamento anche se alcune delle operazioni di trattamento non sono ancora note”.

Non solo. Le recentessime linee guida n. 4/2020 dell’EDPB ribadiscono come “debba essere effettuata una valutazione d’impatto [DPIA] sulla protezione dei dati prima di implementare le app in questione”.

Ad oggi non abbiamo alcuna notizia sul rispetto di questo fondamentale adempimento, che, lungi dall’essere un esercizio di forma, costituisce il momento in cui si disegna l’architettura del trattamento. Con una metafora: è come cominciare a edificare una casa senza avere fatto il progetto.

Una nuova lettera aperta

Il 25 aprile 2020, l’avv. Enrico Pelino ha sottoscritto, con i colleghi Andrea Lisi e Fulvio Sarzana di Sant’Ippolito, un’ulteriore lettera al Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, chiedendo trasparenza.

Qui la notizia, mentre il pdf della lettera può essere scaricato da questa pagina.

Trasparenza su che cosa? Sulle procedure di selezione dell’applicazione, sui verbali della task force (al momento non accessibili, se non per esiguo estratto), sul contratto con il fornitore (idem), sulla DPIA (ancora), sui flussi di dati personali, sulle categorie degli stessi, sulla pseudonimizzazione.

Abbiamo cioè chiesto di trasformare quella che oggi è a tutti gli effetti una black box in una scatola di cristallo. Non si può chiedere fiducia ai cittadini e invitarli a utilizzare un’applicazione sulla quale si addensa il più fitto mistero istituzionale. Chi domanda fiducia deve insomma fornire trasparenza: prima ancora che un obbligo giuridico, questo è un imperativo istituzionale.

Ad oggi la lettera aperta, nonostante abbia ricevuto amplissima adesione da parte di esperti e studiosi di primissimo livello, tra i quali l’ex presidente del Garante per la protezione dei dati personali, prof. Pizzetti, non ha meritato alcuna risposta.

Vi terremo aggiornati sugli sviluppi.